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venerdì 4 novembre 2011

FAUST

Quello che non ti aspetti, fatichi a credere che sia reale.


Eccoci alla recensione più difficile che io abbia mai scritto, e che probabilmente scriverò per parecchio tempo.
Il trionfatore dell'ultimo festival di Venezia è un film assolutamente cinefilo, di un'elitarietà cui personalmente fatico a trovare paragoni nel cinema degli ultimi 10 anni.
Il regista, Alexander Sokurov, ha detto proprio al festival che lo ha premiato:

"Il film non ha bisogno dello spettatore, è lo spettatore che ha bisogno del film"

e quella che poteva apparire come una provocazione intellettual-snob si rivela invece una vera e propria dichiarazione di intenti e di poetica, realizzata appieno da questo film.
E' un film di un'autorialità totale questo Faust, denso, verboso, sporco, inquieto e inquietante, intellettuale, immaginifico, visionario, ma soprattutto estremamente complesso.


Diciamolo subito: questo film, almeno a livello di "trama", ha relativamente poco a che fare con l'opera di Goethe.
Ne riprende spunti, tematiche e basi, per poi distaccarsene con personalità e originalità, dando vita ad un discorso filmico in tutto separato dal corrispettivo cartaceo, come chiaramente indicato dall'iniziale "liberamente ispirato a".

Ma dicevo di un film assolutamente autoriale;
questo Faust lo è senza dubbio. A partire dalla costruzione visiva tutto concorre a trasmettere le idee che l'autore ci vuole comunicare, senza una sola concessione al pubblico, senza un solo momento che non sia necessario alla costruzione stilistico-ideale del film.
Volutamente tralascio la costruzione narrativa, perchè è evidente già da subito che quest'opera non vuole assolutamente raccontare una storia, non vuole portarci dal punto A al punto B attraverso un percorso di tipo espositivo, ma vuole farci percorrere un sentiero molto più impervio, fatto di concetti, immagini, parole, senza i quali il film non avrebbe alcun senso di esistere.
Mai come in questo caso la trama ha poca importanza, e il contenuto assume importanza totale.


Questo Faust non ci mostra l'ossessione di un uomo, la sua sete di conoscenza e desiderio di controllo, ma ci racconta la natura umana, sempre divisa tra regole e una moralità imposte dalla società, dalla religione, e la volontà di controllare tali regole, di creare un proprio corpus di valori e morale che possa sollevarci dalle nostre responsabilità e farci sentire in pace.

In questo senso il dottor (professor) Faust non viene rappresentato come uno scienziato ossessionato dalla conoscenza della natura e dal suo controllo, ma fin dall'inizio come un uomo che vuole comprendere l'animo umano, che vuole manipolarlo come fa con l'intestino e le interiora di un corpo proprio nella prima scena del film.
Questo Faust vive in un'oppressione continua, in un mondo che non gli appartiene, con un padre che lo vorrebbe veder dedicarsi alla medicina "concreta" e una società che non riesce a fornirgli neanche di che sopravvivere.
Gli ambienti opprimenti, la fotografia livida e slavata contribuiscono a mettere in scena un mondo lurido, sporco, deforme, parallelo evidente di quella che il regista russo vede essere la società moderna, fatta di sedicenti dottori, ladri, usurai, popolata da una quantità di folli che non sanno nemmeno di esserlo.
Una società composta da persone che non aspettano altro che di poter vendere la propria anima a qualcuno pur di raggiungere quelli che vedono come le proprie aspirazioni.

In questo ambiente si inserisce la figura del tentatore, colui che si insinua nella mente predisposta alla deformità di Faust (in questo senso sono notevolissime le deformazioni prospettiche messe in scena, a sottolineare ora la deformità mentale del professore, ora la  sua volontà di fuggire da situazioni che lo stanno schiacciando, ma da cui non c'è scampo) e lo trascina passo dopo passo fino all'inevitabile e celeberrimo contratto (che viene però firmato solo dopo un'ora e quaranta di film, su poco più di due ore totali).


Le tentazioni e le prove che Faust attraversa sono messe in scena con una forza espressiva notevolissima, e senza alcun tipo di timore nel mostrare anche le peggiori mostruosità e scene terribilmente forti e scabrose.
In questo anche il pubblico è trascinato nel vortice di Faust, anche noi vogliamo capire, vogliamo controllare gli eventi, vogliamo far sparire ciò che non approviamo e far durare a lungo ciò che desideriamo.
Ma è un gioco al massacro quello di Sokurov.

Mano a mano che il momento del fatale contratto si avvicina, ecco che ci viene mostrata la sofferenza di chi prima di Faust ha ceduto alle lusinghe del tentatore, esplicitate in una delle scene più orripilanti che mi sia mai capitato di vedere.

La volontà di Faust di far procedere il mondo secondo le sue regole, puerili imitazioni delle regole divine, è resa ancor più forte dallo scontro tra uomo e natura che regna su tutto il film.
Una natura che imperversa, invadendo gli spazi e l'anima dell'uomo, portandolo dove esso non vuole andare, scontrandosi con lui e restandogli incomprensibile ed incontrollabile, anche laddove egli creda di averla dominata completamente con la sua scienza.


E dopo aver raggiunto il suo obiettivo l'uomo (nella persona di Faust) non può fermarsi, non può godere di ciò che ha conseguito, ma, legato alla sua inevitabile natura, non può far altro che proseguire, continuare a crearsi nuovi ostacoli, nuove tentazioni a cui trovare soddisfazione, continuare ad andare "oltre" ancora ed ancora, senza possibilità di raggiungere la pace.
In questo senso Sokurov sembra suggerire che il tentatore non sia un demone, non sia un agente del male, ma non sia altro che la doppiezza della natura umana, portata per natura a combattersi e a spingersi sempre più lungo il baratro, ancora e ancora fino alla fine di tutto.

Il film non può e non deve essere visto da tutti.
Non è un film normale. E' più una sfida che il regista ci pone.
Una tentazione a seguirlo nel suo percorso filosofico ed entrare con lui nei meandri della natura umana.
E inquadrando uno specchio come prima immagine sembra volerci dire che non stiamo guardando qualcosa di esterno, ma che in verità non stiamo guardando altro che tutti noi.

Un film forte e difficile, che non concede nulla e non si lascia guardare dal pubblico occasionale, ma spinge la sua ricerca oltre il piano cinematografico come solo i capolavori sanno fare.
Ho detto capolavoro? Forse sì, forse no.

Lascio ad altri le definizioni. Io personalmente, fatico a credere che sia vero.

G.C.