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lunedì 31 ottobre 2011

LE AVVENTURE DI TIN TIN - il segreto dell'unicorno

Mr. Spielberg, un po' ci era mancato in questi anni!


A 28 anni da quando scoprì per la prima volta il personaggio di Hergè, Steven Spielberg riesce finalmente a realizzare il suo sogno di portarlo al cinema (con il supporto produttivo di Peter Jackson e della sua Weta).
In questi 28 anni tante cose sono successe tanto nel mondo del cinema, nella tecnica, nei linguaggi, quanto nella carriera di Spielberg.
Dopo aver sfornato film di alto, altissimo livello per 30 anni, negli ultimi 10 lo zio Steven si era un po' adagiato, dirigendo film quasi sempre poco convincenti, banalotti, non degni della sua carriera precedente, diciamo (pur con qualche eccezione, come Minority Report).
Bene, con questo Tin Tin ci siamo, Spielberg è tornato!


Premetto di non essere assolutamente un fan di vecchia data del fumetto di Hergè.
Anzi a dire il vero non l'ho proprio mai letto, nè guardavo la serie animata in televisione; quindi affronto il discorso come chi è andato al cinema non per vedere l'eroe della sua infanzia, ma come chi ci è andato per vedere un bel film d'avventura vecchio stampo, diretto dal padre fondatore di questo genere.

E non posso dire di essere meno che soddisfatto!
Uno Spielberg finalmente tornato vicino ai suoi massimi riesce a dare vita ad un film sincero, divertente, tecnicamente impeccabile e, importantissimo, intelligente.
Inoltre si può vedere per la prima volta una motion capture finalmente matura e pronta a mostrare tutte le proprie potenzialità espressive e narrative. 

Ma vediamo di approfondire almeno un po':


Cominciamo col dire che il film parte a rilento, con una certa macchinosità.
Questo è sicuramente da imputarsi in maggior parte alla necessità di introdurre da zero personaggi e contesti del tutto ignoti alla maggior parte del grande pubblico (con me in testa).
La fase iniziale in quella che potrebbe essere Parigi presenta una certa dose di didascalismo ed artificiosità (per la serie, un modellino di nave cade e si rompe, il personaggio: "oh no, è caduta e si è rotta"...bravo, lo vedevo anche da me!), che fa un po' storcere il naso.
Mi rendo conto che sia il modo più rapido e diretto per introdurre agli eventi successivi e porre le basi a quanto seguirà, ma avrei preferito maggior sottigliezza e finezza.
 
Per fortuna presto le cose migliorano.
Da quando ci si allontana dalla città la pellicola (mai come in questo caso il termine è improprio) migliora continuamente, il ritmo si fa più sostenuto, le situazioni più interessanti e, soprattutto, si introduce un personaggio riuscitissimo: il capitano Haddock.
Istrionico e divertentente capitano di nave dedito all'alcool e all'autocommiserazione, sarà lui il protagonista dei momenti più divertenti e riusciti del film (lui e il suo antenato).

Ma il vero salto di qualità lo si ha a partire da circa metà film, a partire da una scena di battaglia navale che si interseca alla narrazione presente in un mix di ispirazione registica, sceneggiativa e musicale che ci ricorda perchè Steven Spielberg è il regista più conosciuto al mondo.
Da lì in poi è un susseguirsi di azione e scoperte senza sosta, senza respiro, senza un attimo di stanca, un vortice che ci trascina  con decisione fino al finale (apertissimo in vista di eventuali sequel).

Il tutto senza farsi prendere la mano e scivolare nello stereotipo, nel banale, e mantenendo il quoziente intellettivo del film superiore alla media a cui ci aveva abituati il genere negli ultimi anni.

I meriti di questo fortunato mix sono da dividere su più elementi: sceneggiatura, regia, tecnica digitale, musica. Non necessariamente in quest'ordine.


La sceneggiatura, ad opera di un trio di talentuosissimi scrittori e registi inglesi (Edgar Wright, Steven Moffat e Joe Cornish), ha il grandissimo merito di restituire finalmente a Spielberg un materiale narrativo accattivante e con il giusto bilanciamento tra humor, azione, ritmo e quel pizzico di mistero assolutamente necessari per un film di questo tipo.
I dialoghi sono brillanti quanto serve (soprattutto a partire dall'entrata in scena di Haddock), i personaggi principali sono ben scritti, introdotti ed approfonditi nella loro psicologia (senza esagerare, è pur sempre un film d'azione per ragazzi!), e il cattivo della situazione funziona molto bene.
Inoltre il terzetto inglese riesce a mantenere una coerenza narrativa notevole all'interno di un materiale che prestava sicuramente il fianco ad eventuali esagerazioni e smarrimenti logici.
Inoltre hanno il coraggio di affrontare con leggerezza un tema delicato come quello dell'alcolismo del capitano Haddock, portato avanti, seppur in un ottica da film per ragazzi, con logica e intelligenza. 
Non tutto è perfetto: come già detto alcuni personaggi secondari non funzionano al meglio, alcune (poche) gag sono poco efficaci, un po' forzate, e soprattutto all'inizio faticano ad evitare didascalismo e verbosità.


Sopra tale script, Spielberg costruisce con maestria un lavoro di straordinaria perizia tecnica e con belle idee registiche; 
una cinepresa mai ferma si muove continuamente attraverso gli ambienti digitali, con inquadrature e movimenti che mostrano una padronanza del genere di prim'ordine. 
Caratteristica di questo film è la presenza di scene d'azione quanto mai fluide, continue, raramente composte tramite il montaggio, ma quasi sempre costruite in piano sequenza, portandoci dentro l'azione come poche volte prima d'ora. 
In questo sfrutta al 100% l'assenza di limiti fisici che comporta la tecnica della motion capture, dando modo di costruire carrellate che mai avremmo potuto vedere in un film live action.
Il massimo viene raggiunto dall'ispiratissimo momento della già citata battaglia navale, dove è aiutato anche da un montaggio (del collaboratore di sempre Michael Kahn) che balza da un piano temporale all'altro con grazia e pulizia notevoli, sfruttando il minimo oggetto, viso, per rendere la propria presenza meno invasiva possibile.
Nonostante l'attenzione maniacale che ripone nell'azione, il regista non dimentica mai i personaggi, costruendo tutto intorno a loro, gestendone i movimenti, i rapporti, in modo molto buono, soffermandosi molto spesso in (dettagliatissimi) primi piani volti a sottolineare i loro sentimenti e sensazioni, in modo da non farci mai guardare il film come corpi esterni, ma immegendoci nella trama e nel racconto.


Una menzione d'onore va agli attori;
il performance capture è un'evoluzione recentissima che permette di trasportare appieno una performance attoriale in un personaggio digitale, con tutte le sue sfumature.
E gli attori di questo film sono molto molto bravi. Riescono a conferire una credibilità mai raggiunta per personaggi digitali, facendo sì che dopo pochi minuti la tecnica (perfetta) passi in secondo piano, lasciandoci con l'impressione di vedere vivere sullo schermo personaggi "realmente fantastici".
Ed è un grande successo.
Su tutti domina Andy Serkis (Gollum nel signore degli anelli, ormai vero e proprio guru della motion capture) nei panni di Haddock, ma anche il cattivo Daniel Craig e il protagonista Jamie Bell offrono una performance di livello.
Niente da oscar, sia chiaro, ma assolutamente degne e riuscite.


Altro elemento fondamentale è la musica di John Williams, forse il più grande compositore per il cinema della storia, che commentano con eleganza le immagini, aumentandone la forza, allargando il respiro delle scene più ampie, e risultando garbate e discrete laddove sia necessario. Un lavoro di prim'ordine.

Tanti, tantissimi, i rimandi al cinema classico di Spielberg, da Indiana Jones (film di cui questo Tin Tin condivide lo spirito di avventura e intrattenimento) a Jurassic Park, attraversando tutta la carriera del regista.
Per gli estimatori sono molti i particolari che fanno brillare gli occhi.

E non dimentichiamo Milou, il cane di Tin Tin, personaggio questo interamente digitale ma che riesce a monopolizzare spesso l'attenzione, divertente, coinvolgente, emozionante...
un personaggio riuscitissimo e gestito benissimo.


Insomma, se si cerca un bel film con cui passare due ore divertenti e appassionanti, spensierate ma senza dimenticare il cervello a casa, ritornando con l'animo ragazzi per qualche tempo, come Spielberg ha sempre voluto che il suo pubblico facesse, è questo il film.
Spielberg è tornato, speriamo non riparta.

G.C.



sabato 15 ottobre 2011

THIS MUST BE THE PLACE

Grazie, è stato un un onore suonare con te 


Il nuovo film di Paolo Sorrentino, la sua prima produzione internazionale, è sicuramente un film da vedere, ma non il capolavoro tanto sbandierato in ogni dove.
I punti più deboli di questo lavoro sono da ricercare nella fase di sceneggiatura, curata dallo stesso regista, mentre i suoi punti forti stanno indubbiamente nella messa in scena, di grande impatto, che dimostra come il regista napoletano, già tra i migliori in ambito nazionale, sia un elemento molto interessante anche su palcoscenici stranieri.


Protagonista del film è uno Sean Penn in stato di grazia, nonostante, o forse grazie a, un make up che lo rende quasi irriconoscibile.
Nei panni di Cheyenne, rockstar in pensione che passa le sue giornate nella noia totale (che lui confonde con depressione) tra una villa gigantesca, ma vuota, e una piccola casa nella periferia di Dublino in cui vive una ragazza di cui vorrebbe prendersi cura, Penn da il suo massimo. 
Un'interpretazione ai limiti della perfezione, senza mai andare sopra le righe, nonostante un personaggio che ricorda molto Alice Cooper e che si presta quindi molto ad un tale rischio, ma anzi gestendone soprattutto le sfumature e i dettagli meno evidenti per costruire un personaggio credibile e concreto.

Purtroppo il doppiaggio italiano sembra prendersi qualche libertà di troppo, rischiando di far apparire macchiettistiche scene che non dovrebbero esserlo.
Il ruolo gli è stato scritto su misura, e questo si vede. 
Regge tutto il film sulle sue spalle con disinvoltura e naturalezza da grandissimo quale è.
Un Oscar non sarebbe esagerato.


Se Penn è il punto fermo del film, l'elemento di consistenza e coerenza qualitativa, purtroppo altri elementi non riescono a pareggiarne la qualità.
L'intero film è molto altalenante: a momenti geniali ed ispiratissimi alterna alti decisamente fuori tono che non riescono ad amalgamarsi bene con quanto costruito prima e con quanto si vedrà dopo;
esemplificativa in questo senso una scena di monologo in un sotterraneo, uno sfogo del protagonista che non trova una sua collocazione razionale in quel momento e in quel modo di manifestarsi, frutto di scelte di scrittura e montaggio non delle migliori.
Ma pare proprio che l'assenza di costanza sia la costante del film.


Sorrentino è molto ispirato, si capisce che sente profondamente il film che sta realizzando, e mette in mostra un'abilità tecnica notevole, coronata da lunghi e complessi piano sequenza, unitamente a picchi di lirismo visivo che non passano inosservati: un funerale, un bar, una piscina gonfiabile, un pistacchio gigante (!!) danno modo al regista italiano di spaziare con lo sguardo della cinepresa anche al di la dell'immagine rappresentata, processo aiutato anche dalle musiche, che creano una serie di atmosfere mutevoli, che rappresentano ottimamente i diversi momenti narrativi di cui è composto il film.

Tuttavia, seppur la qualità sia molto elevata, anche la regia non può essere esente da critiche. In qualche frangente, fortunatamente pochi, Sorrentino mostra un eccessivo autocompiacimento, e una ricerca ossessiva della soluzione ad effetto o del colpo "d'autore", risultando però poco sostanzioso e lezioso; 
basti pensare ad un'inquadratura di 5 minuti su un gruppo che suona, senza che questa contribuisca in alcun modo alla narrazione o all'atmosfera, avendo come unico risultato quello di annoiare.


Qualche problema in più lo presenta la sceneggiatura.
Nonostante complessivamente il lavoro sia di buon livello, presta il fianco a qualche critica di troppo: i personaggi vengono introdotti in modo troppo stereotipato, quasi rozzo; la rockstar ormai finita presa in giro dal mondo, il ragazzo sfigato con camicia e cravatta...la lista è lunga. 
Fortunatamente il resto del film contribuisce ad approfondire alcuni personaggi, e fa dimenticare tale problema, che comunque c'è. Un po' di finezza in più non avrebbe guastato.
In generale si moraleggia troppo, con aforismi spesso poco sensati o banali, messi lì come se fossero verità mai intuite da nessuno.

E purtroppo  non si può passare sopra al fatto che diversi ottimi spunti vengano buttati lì e poi abbandonati, come nulla fosse successo. Quasi che l'interesse fosse più costruire una scena ad effetto che fornire ulteriori elementi narrativi o approfondire la psicologia dei personaggi.


Finchè il film costruisce scene per alimentare la narrazione, tutto bene, tutto anzi molto bene.
Ma quando subentra l'autocompiacimento si perde. 
Addirittura Sorrentino arriva a giocare a fare il Malick (per sua fortuna molto brevemente) col solo risultato di risultare incomprensibile.
Il finale, inoltre, potrebbe a qualcuno apparire fin troppo buonista, facilone e ruffianello.


Nonostate tutto, però, il film è più che buono. 
Tanti begli aspetti, visivamente di alto livello, con momenti di ispirazione chiaramente pittorica, comuque coinvolgente, mai noioso, una trama non scontata e non banale, un ottimo lavoro da parte di tutto il cast lo rendono comunque un lavoro di notevole interesse che,  a mio parere, andrebbe di sicuro guardato.

G.C.

martedì 11 ottobre 2011

DRIVE

Tu che cosa fai? Guido.


Forte del premio per la miglior regia ottenuto all'ultimo festival di Cannes (quello vinto da quel capolavoro di The Tree of Life per intenderci) arriva nelle sale italiane l'ultimo lavoro del regista danese Nicolas Winding Refn, senza dubbio uno dei registi più interessanti della nuova generazione.

Nonostante sia stato presentato e pubblicizzato da un'improvvida campagna marketing come un film d'azione ad alto tasso adrenalinico, quello che ci si trova davanti è un film indubbiamente autoriale, in grado di sollevarsi al di sopra della media dei film odierni.


Riprendendo stilemi tipici del cinema americano di genere degli ultimi 30 anni, Refn mette in scena un thriller metropolitano molto personale e a suo modo atipico.
In una Los Angeles splendidamente resa da una fotografia che sfrutta al meglio le cineprese digitali di ultima concezione, si muove il protagonista senza passato e senza nome. 
Di giorno meccanico e stuntman per il cinema, di notte esperto autista (driver) per ladri e rapinatori.
Un professionista che non si fa coinvolgere in ciò che fa, organizzato e schematico:

Dammi ora e luogo e ti do cinque minuti, qualunque cosa accada in quei 5 minuti ci penso io, ma ti avverto: qualunque cosa accada un minuto prima e un minuto dopo, te la cavi da solo.

Uno strumento perfetto ed efficiente, quale la macchina che guida, nelle mani di chiunque ne voglia fare uso.


I punti di forza di questo film sono senza dubbio la scrittura dei personaggi e le loro interpretazioni, al pari della regia di Refn.
In un racconto che potrebbe prestare facilmente il fianco a cadute di stile, banalizzazioni, stereotipazioni assolute dei personaggi e degli eventi, una sceneggiatura di ferro riesce a porre le basi ad una struttura filmica di grande impatto, che trova compimento in una messa in scena ai limiti della perfezione, che giustifica ampiamente il premio assegnato dalla giuria del festival francese.

Come precedentemente accennato, il film si rifà fortemente al cinema di genere degli ultimi 30 anni, ma non sa di già visto, affatto.
Se i richiami ai grandi maestri sono tanti, il film ha anche qualcosa di molto personale da dire. E lo dice tramite il silenzio.


Sì perchè si parla pochissimo in questo "Drive", si parla poco e ci si guarda molto, ci si guarda e si cerca di dire ciò che a parole non si riesce o non si può dire. 
Il driver cerca di nascondere la sua anima, ma gliela si legge in faccia. E quando esplode tutta la sua rabbia in una violenza difficile da sostenere anche dallo spettatore più smaliziato, non ci si sorprende, perchè era già tutta lì, in quegli occhi e in quel volto senza espressioni che è quasi una maschera per tenere il mondo lontano da sè.

E' un film che vive di opposti e di ossimori, di improvvise manifestazioni d'amore estremo e di estrema violenza, talvolta nell'arco di pochi secondi.
La continua ricerca di stabilità ed equilibrio crea un atmosfera di precarietà che non permette di accettare a cuor leggero ciò che avviene e ciò che avverrà. Noi vogliamo l'equilibrio, lo bramiamo come lo bramano i personaggi del film, loro malgrado.
Ma non è possibile ci dice Refn, non è possibile perchè il passato ritorna, e la natura sopita si risveglia, andando a chiudere una serie di cerchi continuamente più stretti, fino al collasso nel centro, laddove tutto si chiude e si realizza nell'unico modo in cui si può realizzare.
Per poi ricominciare daccapo.


Refn è grandioso nel gestire il tutto, con mano ferma costruisce fin dai primi minuti una tensione che non si rilascia mai, se non in un unica, emblematica, scena, in cui il driver ci viene mostrato per ciò che vorrebbe essere, quasi un giardino dell'eden in terra, per lui.
Grande abilità dimostra anche nel saper gestire i tempi e i silenzi, e nel comprendere e valorizzare la psicologia dei personaggi e le interpretazioni degli attori.
Il regista mostra un estro visivo davvero notevole, uno stile sopraffino nella scelta delle inquadrature, degli angoli di ripresa, dei giochi di luce, e soprattutto nel rappresentare la violenza, rendendola reale, dura, di quelle che rimangono più per il loro contenuto psicologico che non per il semplice livello di emoglobina in scena (comunque notevole), mostrandosi allo stesso tempo un solido realizzatore anche di scene d'azione, seppur esse non siano il fulcro del film.


Gli attori allo stesso modo sono grandiosi. Tutti.
Spicca ovviamente Ryan Gosling, uno dei migliori attori in attività, in grado di conferire profondità e realtà ad un personaggio sulla carta difficilissimo da rendere al meglio. Recitare con gli occhi.
E' questo che fa Gosling; non ha bisogno di parole, e d'altronde non aggiungerebbero nulla.
Ogni espressione, ogni sguardo, ogni movimento del driver è perfetto, fa parte di un lavoro di immedesimazione sopraffino, che raggiunge livelli quasi inquietanti durante le esplosioni di violenza del driver, che Gosling rende assolutamente naturali e quasi inevitabili.

Allo stesso modo eccezionale Carey Mulligan in un ruolo da comprimaria che ricopre in modo eccellente, dando al suo personaggio la giusta quantità di durezza e debolezza, di forza e fragilità, costruendo anche in questo caso una persona vera, non un semplice corpo estraneo che si muove sullo schermo


Le musiche a commento delle immagini sono un mix di elettronica-pop-rock che contribuisce alla creazione dell'atmosfera al meglio, esattamente come dovrebbe fare ogni buona colonna sonora: sparendo nelle immagini e diventando un tutt'uno con esse.
E la già citata fotografia produce alcune delle migliori scene notturne che riesca a ricordare.

Non è un film perfetto, ha qualche piccola caduta di stile qua e là, si perde un poco per strada in alcuni frangenti, ma sono cose che passano in secondo piano.
Quando si ha la possibilità di gustare un lavoro di questo livello, poco importa la perfezione.


G.C.

mercoledì 5 ottobre 2011

ATTACK THE BLOCK

Quando Steven Spielberg incontra l’outskirt di Londra


Tutti (o quasi) da bambini o ragazzini avranno visto gli splendidi film degli anni ’80 con protagonisti un gruppo di ragazzini in cerca di avventure, “I goonies” su tutti.
E allo stesso modo tutti, prima o poi, avranno visto qualche film di alieni, invasori (alla “Indipendence Day”) o amici (“Et”,”Incontri ravvicinati del terzo tipo”), o ancora mostri assassini senza pietà (“Alien”).

Bene, questo gioiellino inglese del 2011 unisce le cose in un modo estremamente originale ed accattivante, dando una lettura personalissima dei generi di riferimento (appunto l’avventura e l’alien movie).
La trama è riassumibile in pochissime parole: alieni mangia uomini atterrano (cadono sarebbe più corretto) in un quartiere dei sobborghi di Londra, dei ragazzini li affronteranno con ogni mezzo a loro disposizione.


Con una trama del genere ci si potrebbe giustamente chiedere "dove sta il bello, perché gioiellino?"
Bene, il tutto è dovuto ad una costruzione dell’ambientazione e dei protagonisti assolutamente innovativa.
Scordatevi i bravi ragazzini che girano in bicicletta nelle deserte strade americane seguendo la propria fantasia; qui ci troviamo davanti a un gruppo di 15enni che rapinano la gente, fumano erba, sfuggono alla polizia…bravi ragazzi che sono dovuti crescere presto e con regole proprie per poter sopravvivere nel Block, l’enorme caseggiato popolare in cui tutto ha luogo, dove anche i bambini di 9 anni devono iniziare a darsi un nome e crearsi una reputazione per poter tirare avanti.
Bene, quando arrivano gli alieni cosa si fa?
Considerato che la polizia ci vuole arrestare, nessuno ci crede, il boss del quartiere ci vuole fare fuori?
Ci si arma di spade, mazze da baseball e coltelli e li si va a prendere a calci!!

  
In questo i protagonisti non risultano mai delle macchiette, delle parodie, ma sono sempre credibili nelle loro azioni e reazioni, grazie ad una sceneggiatura che costruisce alla perfezione i caratteri, senza però tralasciare l’aspetto dell’azione, realizzata anch’essa con grande maestria e resa al meglio da una regia dalla buona ispirazione e perfettamente calibrata sul lavoro che deve svolgere.
A completamento del tutto, per non lasciare nulla di non fatto, non manca un livello di critica al moralismo e all'ipocrisia che girano intorno a questi "mondi poveri nei mondi ricchi". Senza esagerare e mantenendo il proprio stile, ma queste piccolezze non fanno mai male.
Da segnarsi lo scambio di battute: 
"Il mio fidanzato aiuta i bambini in Africa, è volontario della croce rossa"

"Oh davvero? Non può aiutare i bambini Inglesi? Non è abbastanza esotico eh? Non ci si fa una bella abbronzatura"

L’autore (regista e sceneggiatore all'esordio!) del film è cresciuto nei sobborghi in cui si svolge il film, e questo si vede molto. In positivo.
I giovani attori stupiscono, considerata appunto la giovane età, e rendono molto molto bene i loro ruoli, essendo d’altronde non professionisti anch’essi originari del Block.



Il reparto tecnico è di ottimo livello, effetti speciali molto ben realizzati, con un tocco old style che piacerà molto ai nostalgici di quando i mostri non erano realizzati in CGI, fotografia “cool” come impongono le mode attuali, montaggio serrato a mantenere alta l’attenzione e colonna sonora perfetta come commento agli eventi che ci vengono mostrati.
Il film è stato realizzato a basso budget, ma non lo da per nulla a vedere.

E vogliamo parlare degli alieni? A qualcuno faranno anche storcere il naso, ma dopo esseri sempre simili tra loro, anche in questo aspetto si trova una bella dose di innovazione, una bella novità che rende il tutto ancora più interessante, evitando ogni rischio di apparire stantio.


Un film fresco e divertente, con una bella dose di azione e punte di horror che consiglio a chiunque voglia provare qualcosa di a suo modo nuovo e diverso da tutto quanto abbiate visto prima.
Pur non essendo nulla di nuovo.

 G.C.


PS: Il film è inedito in Italia e può essere reperito in lingua originale con sottotitoli italiani. Ma assolutamente è da vedere in tal modo, l’accento dei personaggi lo impone!

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