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martedì 13 novembre 2012

ARGO

La mia storiella è l'unica cosa tra voi e una pistola alla testa. 



Non giriamoci intorno più di tanto, andiamo subito al punto.
Argo è uno dei migliori film che abbia visto quest'anno.
Potrebbe essere addirittura il migliore. Perchè è un film denso, intenso, duro e leggero, secco ed aperto al pubblico, un film d'autore che sa intrattenere come solo il grande cinema sa fare, e perchè è una grande, sottile, dichiarazione d'amore verso il cinema.

Ben Affleck (qui regista e attore protagonista) conferma che la sua folgorazione sulla via di damasco della regia cinematografica non è risultata in un fenomeno passeggero, ma invece la scoperta di una vera abilità, di un grande talento che speriamo possa continuare a portare la sua linfa al cinema per gli anni a venire.
I suoi primi due film (Gone baby gone e The Town) sono stati acclamati dalla critica, ed ottimamente recepiti dal pubblico. Con la sua terza opera non solo si conferma, ma compie un netto passo avanti.
Passo, questo, che certifica il suo raggiungimento della piena maturità artistica.


Argo è un film che riesce nell'ardua impresa di raccogliere il testimone del grande cinema degli anni '70, coniugando intrattenimento e profondità con un equilibrio ormai rarissimo.
Profondamente ancorato al suo genere in termini di dinamiche e risvolti narrativi, Argo non cerca mai di strafare; non vuole trascendere, ma vuole interpretare al meglio.

E questo riesce grazie alla sceneggiatura di ferro, abilissima nello sviluppare la trama e nel costruire con poche, secche, pennellate i personaggi.
In questo senso, anche, il film di Affleck si mostra per quello che è, un thriller procedurale in cui più che le psicologie e l'approfondimento dei personaggi, ciò che conta sono le loro interazioni e le azioni che compiono. Senza risultare mai, tuttavia, delle macchiette o dei semplici elementi narrativi senza altro scopo.
La trama è inchiodata ai personaggi, e i personaggi sono inchiodati alla trama. Questo vincolo a due vie risulta fondamentale per la riuscita del film, con l'aggiunta di attori sempre all'altezza del ruolo, sempre in grado di dare il massimo e perfetti per il proprio ruolo (anche lo stesso Affleck, di gran lunga il miglior regista di se stesso).

Sopra a tutto, però, ciò che rende Argo un grande film è la regia.
Affleck mette in mostra una notevolissima padronanza del mezzo cinematografico.
Costruisce una narrazione dal ritmo impeccabile, mai un solo momento fuori tono o fuori dalla chirurgica precisione con cui le sequenze sono costruite. Che il momento richieda un ritmo disteso, che richieda un ritmo frenetico, Affleck è eccellente nel trovare ciò che serve (in questo aiutato da un montaggio sempre perfetto).
Eccezionale in questo la costruzione e la gestione della tensione che vengono messe in mostra nel finale, di grandissima intensità, in grado di tenere incollati alle poltrone con il fiato sospeso fino al termine della sequenza, per poi concedere un rilassamento della tensione tale da far scendere quasi qualche lacrima (come succede all'alto funzionario della CIA all'interno del film).


Basato su una storia vera, Argo ricostruisce alla perfezione l'ambientazione storica (anche se, sulle vicende, predilige sempre lo spettacolo all'inerenza storica, ma non deforma mai la sostanza dei fatti), inizialmente attraverso un'introduzione animata che inquadra la situazione socio-politica in cui la vicenda si va ad ambientare, ed in seguito attraverso un uso della regia, della fotografia e della scenografia di alto livello.

La scena iniziale, post introduzione, è esemplare in questo senso. In pochi secondi ci catapulta in mezzo alla sollevazione popolare Iraniana davanti all'ambasciata americana nel 1979, la camera a mano in mezzo alla folla furiosa che inneggia contro l'ospite indesiderato, la bandiera americana bruciata; immagini potenti, che fanno subito capire che ci si trova davanti ad un film di livello.
La fotografia granulosa, satura, di quelle tipiche delle riprese del periodo. Non ha bisogno di altro per darci un'ambientazione temporale in cui non sarà difficile credere per tutto il resto del film.


E l'amore verso il cinema.
Solo in questo modo può essere letta la volontà di realizzare un film in cui il cinema sia la massima farsa, il massimo inganno, la massima falsità, pieno di difetti, infamie, rancori, ma in cui tutto questo sia ciò che, in fin dei conti, permette di restare in vita.
Il mondo reale che si mescola alla finzione, la finzione che permette di scappare dal mondo reale, letteralmente di liberarsi di un mondo opprimente, che ci da la caccia, ci vuole stanare e colpire.
Una dichiarazione d'amore più bella, Affleck non avrebbe potuto mai metterla in scena.

E allora, concludiamo, ecco perchè questo è il film da vedere, da non perdere a qualunque costo.
"Argo vaffanculo".

G.C.


sabato 10 novembre 2012

COGAN - killing them softly

 Devi essere pronto a fare qualcosa



Un film con molti piani di lettura.
Ecco cos'è il nuovo lavoro di Andrew Dominick, regista poco prolifico ma molto efficace nel trasmettere concetti e sensazioni attraverso le proprie opere, dotato di un talento nella narrazione per immagini che non si esaurisce nel raccontare una storia, ma la arricchisce di significati e suggestioni tali da rendere chiara la presenza di "altro" dietro quella che di fatto è una trama molto semplice e diretta.

Il film vuole raccontare una storia di degrado fisico e morale, malavita, speranze e rassegnazione, all'interno del quale è impossibile non cogliere un'amara riflessione sul mondo moderno, e in particolare sull'America moderna.


Partendo da una struttura da gangster movie di stampo classico, che certamente piacerebbe a Scorsese per gestione del ritmo e gusto nelle inquadrature, il lavoro di Dominick si avvale di una serie di metafore ben pensate e ben sfruttate (nonostante la brevissima durata del film, solo 80 minuti).
I parallelismi al mondo moderno e alla sua struttura gerarchica sono chiari, quasi urlati; i "loro" che controllano e monitorano la situazione senza mai essere visti, lo spietato sicario che fa ciò che deve essere fatto, l'autista che si tappa il naso e fa da tramite dei loro messaggi, i personaggi manovrati come marionette.

I cosiddetti "poteri forti", la politica, i media, il popolo.
E se osservata in questa luce, una vicenda banale assume un interesse inaspettato.
I dialoghi che possono apparire inutili, forzati, monotoni, assumono un senso; ogni personaggio rappresenta qualcosa nella società moderna.
E così nell'ex sicario ora alcolizzato e sessuomane è possibile vedere la politica degenerata, non più in grado di tenere le redini della situazione affogata nei suoi vizi e nella sua deformità.
Nel gestore della lavanderia che ordisce il piano della rapina, è chiaro il parallelo con chi sfrutta il lavoro altrui per fregare il banco ed arricchirsi.

E nel killer interpretato da un sempre più bravo Brad Pitt, è impossibile non vedere la mano del potere politico, che ha ormai perso la sua funzione di appoggio alla gente comune, che è rimasta sola, abbandonata, ma non la sua capacità organizzativa, la sua capacità di prendere decisioni e mettere in atto i suoi piani piani.
Solamente, con l'ultima, durissima, battuta, ci spiega quali sono, oggi, le sole leve che lo fanno muovere.


Dal punto di vista formale, il film è ottimo.
La regia è impeccabile, tanto da riportare alla mente lo Scorsese migliore, quello dei gangster movie. E se pure non raggiunge certi livelli (e ci mancherebbe), la gestione della narrazione è sempre perfettamente controllata e bilanciata, lo stile asciutto, essenziale, la violenza per niente stilizzata, ma diretta, mostrata esplicitamente ma non spettacolarizzata. Una violenza che colpisce e fa male.
In questo è supportato da una fotografia di alto livello, che permea tutto il film di una plumbea depressione che non si esaurisce mai, dando vita a scene dal grande impatto visivo.

Attori bravi, alcuni molto bravi (Pitt, Gandolfini, ma su tutti Jenkins), sebbene il doppiaggio italiano non aiuti su alcuni personaggi.
Graditissima la presenza di Ray Liotta, in un'ottima interpretazione nel ritorno al genere che l'ha reso famoso.


E se è innegabile che il ritmo non sia esattamente una delle caratteristiche migliori di questo titolo, tant'è che il film mostra diversi tempi morti nonostante la breve durata, con dialoghi a tratti eccessivamente prolungati e momenti non sempre del tutto necessari allo svolgimento della trama o alla costruzione dell'atmosfera e delle metafore di cui si è detto sopra, questo non inficia il risultato finale che, almeno nella mia opinione, è un lavoro con qualcosa da dire, una personalità spiccata e in definitiva un buon film, che, in questo momento cinematografico, non andrebbe sprecato.


G.C.







martedì 6 novembre 2012

007 - SKYFALL

...giovane non è sempre garanzia di rinnovamento



Se c'è una cosa che fa davvero piacere, è quando i pregiudizi che si aveva vengono smentiti.
Non sono mai stato un grande fan della saga di 007; ho sempre trovato che fosse costruita da giocattoloni divertenti ma sostanzialmente anonimi, senza una vera personalità nè alcuna ambizione che non fosse quella di staccare il cervello per un paio d'ore e farsi affascinare dallo charme del Bond di turno (fosse l'ottimo Connery o il dimenticabilissimo Brosnan).
Non mi aspettavo quindi moltissimo da questo ultimo episodio, sebbene i nomi coinvolti nel progetto (il regista Sam Mendes in primis) potessero far pensare a qualcosa di più.

Bene, mi sbagliavo.
Perchè se è vero che anche in Skyfall si mantengono ben saldi alcuni aspetti tipici della saga (dall'immancabile elemento action, anche preponderante a tratti, all'umorismo caustico tipicamente british), in questo caso ci troviamo davanti ad un film che finalmente scopre il potenziale dei suoi personaggi e delle sue trame, e decide di sfruttarlo, se non appieno, il più possibile.


Così, all'interno della struttura tipica del blockbuster hollywoodiano, trovano spazio un'analisi dei personaggi e degli eventi assolutamente atipici per un film di questo genere.

Il James Bond incarnato da Daniel Craig è un personaggio assolutamente tridimensionale, sfaccettato, un uomo che si trova a dover trovare nuovamente uno spazio in un mondo che non è più il suo. 
Non è più il tempo delle spie e dell'MI6, il loro lavoro non è più necessario.
Non abbiamo mai visto, in nessuno dei film precedenti, un Bond così fortemente provato dal tempo, un uomo distrutto che sa di dover ricominciare da 0.
E così assistiamo, insieme alla classica missione da compiere, e al classico nemico con cui scontrarsi, ad un percorso interiore che porterà il personaggio a rinnovarsi. Attraverso il suo passato.

Tutto il film è permeato infatti da una costante tensione tra passato e futuro, tra tradizione e innovazione; in questo senso è emblematica la scena dell'incontro in un museo tra Bond e il nuovo, giovanissimo, Q. 
Da una parte un passato che conosciamo e che sappiamo funzionare, ma che fatica ad adeguarsi alle modifiche del mondo che lo circonda, dall'altra un futuro incerto, pronto, reattivo, flessibile, ma ancora acerbo e pieno di incognite.
E non è quindi un caso che nella conclusione, oltre a trovare un personaggio evidentemente scritto per Sean Connery (peccato abbia rifiutato il ruolo), dopo un viaggio metaforicamente indietro nel tempo il passato venga affrontato, sfruttato, ed infine rimosso, pur se molto dolorosamente, per fare spazio al futuro. 


E tutti i personaggi principali sono costruiti e analizzati nei loro lati oscuri in maniera più che buona, da M, interpretata dall'eccellente Judy Dench, al villain Silva, interpretato da Javier Bardem.
Quest'ultimo, nonostante risulti un diretto derivato del Joker de il cavaliere oscuro, risulta un villain completo e convincente, che sfrutta appieno il tempo che ha sullo schermo per dare vita ad un perfetto esempio di totale ribaltamento della prima impressione (per citare "Come entrare in scena sembrando Malgioglio ed uscirne sembrando Hannibal Lecter").

E se, quindi, dal punto di vista della scrittura abbiamo finalmente uno 007 conscio delle proprie possibilità, dal punto di vista della realizzazione abbiamo un lavoro assolutamente impeccabile.
Mendes è un regista elegante, con grande stile e talento visivo, in grado di infondere all'intera vicenda un sottofondo di malinconia pur tenendo alta la tensione della narrazione e senza perdere mai il filo degli eventi.
La costruzione delle immagini è dominata da assoluta eleganza, grazie anche alla fotografia di Roger Deakins, sostanzialmente il miglior direttore della fotografia in attività.
La collaborazione tra i due autori, nessun dubbio nel definirli così, da origine ad alcuni momenti di inattesa bellezza visiva, come una scazzottata in controluce in un grattacielo di Shangai, in grado di portare svariati momenti, che sarebbero potuti risultare banali, verso qualcosa di nuovo.



Naturalmente non tutto è perfetto.
Nella fase iniziale, dopo l'adrenalinico prologo e gli stupendi titoli di testa, si avverte una certa farraginosità nella trama, che fatica inizialmente a dipanarsi e rischia di incartarsi su se stessa.
Per fortuna il rischio viene sventato, e la narrazione si fa più agile e fluida, ricomponendo tutti i pezzi e non permettendo più all'attenzione di calare e trascinando fino alla definitiva rottura con il passato e all'introduzione al futuro che concludono l'opera.

Gli attori sono tutti ottimi ed in parte, a partire da Daniel Craig, che risulta anche questa volta un eccellente James Bond, duro e deciso ma estremamente umano, fragile, soggetto ad errori e ripensamenti, caratteristiche che vengono trasmesse perfettamente dal volto e soprattutto dagli occhi dell'attore inglese.
I comprimari, anche, non si fanno mancare niente, come detto sopra, da Judy Dench a Javier Bardem, da Ralph Fiennes (nonostante un personaggio sacrificato per scopi futuri) a Ben Whishaw, tutti risultano in parte ed ottimamente scelti per ricoprire i propri ruoli, grandi o piccoli che siano.


In definitiva, ci troviamo di fronte ad un blockbuster atipico, elegante e soprattutto solido; superiore a tutto quanto ci viene sottoposto oggi nel campo dell'action e dell'intrattenimento, non il classico baraccone copia-incolla, ma un film in grado di fornire, pur nel suo ambito di appartenenza, qualche interessante spunto che mi fa pensare che l'imboccare questa strada, a 007 non potrà fare altro che bene,


G.C.