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giovedì 20 dicembre 2012

LO HOBBIT - un viaggio inaspettato

Il troppo stroppia, Sir Jackson



Diciamolo subito, l'attesa per questo film era veramente altissima, così come le aspettative.
Il semplice fatto che Peter Jackson, a distanza di 9 anni (e circa 30 kg di peso perso) dalla conclusione della trilogia del Signore degli Anelli, una delle più belle saghe cinematografiche mai realizzate, tornasse all'opera nell'adattamento di un'altra opera di Tolkien e ci riportasse nella terra di mezzo che ci aveva fatto amare, è un motivo ampiamente sufficiente a giustificare tale esaltazione.

Questo ha reso fin da subito il progetto molto complesso e pericoloso. Tralasciando le mille vicissitudini produttive attraversate da questa produzione (che hanno portato alla rinuncia da parte del regista inizialmente designato, Guillermo Del Toro), è evidente come un predecessore di tale livello costituisse un convitato di pietra a dir poco opprimente; difficilmente si sarebbe potuto replicare il livello qualitativo della trilogia dell'anello, difficilmente si sarebbe potuto soddisfare il pubblico e la critica con una tale unanimità ed un tale successo.
Come se questi dubbi non fossero sufficienti, durante la fase finale della produzione è stato deciso che l'adattamento del romanzo sarebbe stato diviso in due film, e infine addirittura in una trilogia.
Come 350 pagine potessero essere adattate in tre film da quasi 3 ore ciascuno[1] in modo soddisfacente e senza dare la sensazione di brodo inutilmente allungato, era uno dei motivi principali di preoccupazione, da parte mia, di fronte a questo progetto, ripeto, tanto atteso.

Dubbi che purtroppo hanno trovato piena conferma nella realtà del prodotto finito.


Lo Hobbit non è un brutto film, questo va immediatamente messo in evidenza, ma è un film che perde troppo facilmente e troppo spesso di vista l'obiettivo, cioè il raccontare una storia nel modo migliore possibile.
E così ci si trova davanti ad un film che non sa esattamente che strada prendere, se puntare sull'epica (poco appropriata al romanzo di partenza) o sulla leggerezza di toni, che non sa se prendersi sul serio o impostarsi su un registro più giocoso, se cercare di replicare i fasti di nove anni fa o reinventarsi da capo.
E sopra a tutto regna incontrastata la ridondanza e l'esagerazione.

Quasi da subito si può intuire che qualcosa non vada nella strada intrapresa: ad un bellissimo prologo che introduce un background di ambientazione all'impresa che muoverà il film, segue un secondo prologo, ambientato nella Contea cronologicamente appena prima del Signore degli Anelli, che risulta di fatto inutile per lo svolgimento della trama.
Il suo unico scopo è autocitarsi e far contenti i fan della trilogia dell'anello facendo tornare sullo schermo il personaggio di Frodo, in un mix di inutilità e puro autocompiacimento francamente disarmanti.

E lungo tutto il film la situazione rimarrà la stessa, un mix estremamente discontinuo di scene riuscite (e alcune molto riuscite) e scene evitabili, mal riuscite, ridondanti, eccessive e a volte noiose; tutto ciò che riguarda Radargast il bruno è un mix di insensatezza e inutilità totali, nulla aggiunge al film, ma funge da puro collante con la trilogia dell'anello, così come tutta la (esteticamente pregevole ma narrativamente inutile e noiosa) sezione ambientata a gran burrone, ancora, un tratto della "riunione" dei nani a casa Baggins rappresenta uno spreco di tempo e produce cali un effetto difficile da sopportare (la canzone del lavaggio piatti con annesso balletto in salsa Disneyana: è...agghiacciante) o tutta la sequenza dei giganti di roccia, puro sfoggio di abilità tecnica e (magnifici) effetti speciali del tutto fini a se stessi.

Scene d'azione tanto ben girate quanto eccessive nel concetto e nella messa in scena (come tutta la sequenza della fuga dei nani dalle caverne degli orchi, tirata avanti all'inverosimile, ben oltre i limiti di sopportazione) non fanno altro che appesantire ulteriormente quello che poteva essere un film fresco, immediato, interessante e appassionante, facendolo scadere spesso in puro polpettone.
Tagli per almeno un'ora avrebbero giovato, e di molto, alla riuscita del film.


Naturalmente gli aspetti positivi ci sono, e non sono trascurabili.
Al di la della sempre grande abilità di Jackson nel manovrare la cinepresa, che in più occasioni da origine a scene di grande impatto, alcune sequenze sono pressochè perfette, come la riunione dei nani a casa Baggins (finchè la sua durata eccessiva non ne spezza irrimediabilmente il ritmo), lo scontro con i tre troll e, soprattutto, l'incontro tra Bilbo e Gollum, la gara di indovinelli nelle tenebre. Scena, quest'ultima, letteralmente da brividi.
Gli effetti speciali poi sono di livello eccezionale, tra le cose migliori viste ultimamente su uno schermo cinematografico.

E Martin Freeman è l'attore perfetto per il ruolo che deve ricoprire. Lui è Bilbo Baggins, non lo interpreta, non sta recitando, ma sta vivendo in quel personaggio. Ogni cosa che fa è non solo completamente credibile, ma assolutamente reale. Faccio fatica a ricordarmi un attore così ben immedesimato in un ruolo fantasy come questo. Un grande Bravo! a Freeman.
In generale, comunque, tutti gli attori sono bravi o molto bravi, niente da dire a questo riguardo.


Sostanzialmente quindi ci troviamo di fronte ad un film che poteva essere eccezionale, ma in cui l'ego di regista e sceneggiatori, l'incapacità di porsi dei limiti (e in questo sicuramente ha pesato il budget triplicato rispetto a quello a disposizione per i tre film del signore degli anelli) e la volontà di mettersi in mostra superano l'istanza narrativa, dando vita ad una giostra impazzita che gira a vuoto a ritmo oscillante, che passa attraverso momenti bellissimi ma nel complesso risulta decisamente deludente.

Ora ci sono altri due film per scoprire se si tratta di un'inciampo momentaneo (come spero) o se, purtroppo, Lo Hobbit sarà una grandissima possibilità sprecata.

G.C.


[1] : "Un viaggio inaspettato" dura 169 minuti, la durata degli altri due capitoli non è ancora stata resa nota.