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martedì 11 ottobre 2011

DRIVE

Tu che cosa fai? Guido.


Forte del premio per la miglior regia ottenuto all'ultimo festival di Cannes (quello vinto da quel capolavoro di The Tree of Life per intenderci) arriva nelle sale italiane l'ultimo lavoro del regista danese Nicolas Winding Refn, senza dubbio uno dei registi più interessanti della nuova generazione.

Nonostante sia stato presentato e pubblicizzato da un'improvvida campagna marketing come un film d'azione ad alto tasso adrenalinico, quello che ci si trova davanti è un film indubbiamente autoriale, in grado di sollevarsi al di sopra della media dei film odierni.


Riprendendo stilemi tipici del cinema americano di genere degli ultimi 30 anni, Refn mette in scena un thriller metropolitano molto personale e a suo modo atipico.
In una Los Angeles splendidamente resa da una fotografia che sfrutta al meglio le cineprese digitali di ultima concezione, si muove il protagonista senza passato e senza nome. 
Di giorno meccanico e stuntman per il cinema, di notte esperto autista (driver) per ladri e rapinatori.
Un professionista che non si fa coinvolgere in ciò che fa, organizzato e schematico:

Dammi ora e luogo e ti do cinque minuti, qualunque cosa accada in quei 5 minuti ci penso io, ma ti avverto: qualunque cosa accada un minuto prima e un minuto dopo, te la cavi da solo.

Uno strumento perfetto ed efficiente, quale la macchina che guida, nelle mani di chiunque ne voglia fare uso.


I punti di forza di questo film sono senza dubbio la scrittura dei personaggi e le loro interpretazioni, al pari della regia di Refn.
In un racconto che potrebbe prestare facilmente il fianco a cadute di stile, banalizzazioni, stereotipazioni assolute dei personaggi e degli eventi, una sceneggiatura di ferro riesce a porre le basi ad una struttura filmica di grande impatto, che trova compimento in una messa in scena ai limiti della perfezione, che giustifica ampiamente il premio assegnato dalla giuria del festival francese.

Come precedentemente accennato, il film si rifà fortemente al cinema di genere degli ultimi 30 anni, ma non sa di già visto, affatto.
Se i richiami ai grandi maestri sono tanti, il film ha anche qualcosa di molto personale da dire. E lo dice tramite il silenzio.


Sì perchè si parla pochissimo in questo "Drive", si parla poco e ci si guarda molto, ci si guarda e si cerca di dire ciò che a parole non si riesce o non si può dire. 
Il driver cerca di nascondere la sua anima, ma gliela si legge in faccia. E quando esplode tutta la sua rabbia in una violenza difficile da sostenere anche dallo spettatore più smaliziato, non ci si sorprende, perchè era già tutta lì, in quegli occhi e in quel volto senza espressioni che è quasi una maschera per tenere il mondo lontano da sè.

E' un film che vive di opposti e di ossimori, di improvvise manifestazioni d'amore estremo e di estrema violenza, talvolta nell'arco di pochi secondi.
La continua ricerca di stabilità ed equilibrio crea un atmosfera di precarietà che non permette di accettare a cuor leggero ciò che avviene e ciò che avverrà. Noi vogliamo l'equilibrio, lo bramiamo come lo bramano i personaggi del film, loro malgrado.
Ma non è possibile ci dice Refn, non è possibile perchè il passato ritorna, e la natura sopita si risveglia, andando a chiudere una serie di cerchi continuamente più stretti, fino al collasso nel centro, laddove tutto si chiude e si realizza nell'unico modo in cui si può realizzare.
Per poi ricominciare daccapo.


Refn è grandioso nel gestire il tutto, con mano ferma costruisce fin dai primi minuti una tensione che non si rilascia mai, se non in un unica, emblematica, scena, in cui il driver ci viene mostrato per ciò che vorrebbe essere, quasi un giardino dell'eden in terra, per lui.
Grande abilità dimostra anche nel saper gestire i tempi e i silenzi, e nel comprendere e valorizzare la psicologia dei personaggi e le interpretazioni degli attori.
Il regista mostra un estro visivo davvero notevole, uno stile sopraffino nella scelta delle inquadrature, degli angoli di ripresa, dei giochi di luce, e soprattutto nel rappresentare la violenza, rendendola reale, dura, di quelle che rimangono più per il loro contenuto psicologico che non per il semplice livello di emoglobina in scena (comunque notevole), mostrandosi allo stesso tempo un solido realizzatore anche di scene d'azione, seppur esse non siano il fulcro del film.


Gli attori allo stesso modo sono grandiosi. Tutti.
Spicca ovviamente Ryan Gosling, uno dei migliori attori in attività, in grado di conferire profondità e realtà ad un personaggio sulla carta difficilissimo da rendere al meglio. Recitare con gli occhi.
E' questo che fa Gosling; non ha bisogno di parole, e d'altronde non aggiungerebbero nulla.
Ogni espressione, ogni sguardo, ogni movimento del driver è perfetto, fa parte di un lavoro di immedesimazione sopraffino, che raggiunge livelli quasi inquietanti durante le esplosioni di violenza del driver, che Gosling rende assolutamente naturali e quasi inevitabili.

Allo stesso modo eccezionale Carey Mulligan in un ruolo da comprimaria che ricopre in modo eccellente, dando al suo personaggio la giusta quantità di durezza e debolezza, di forza e fragilità, costruendo anche in questo caso una persona vera, non un semplice corpo estraneo che si muove sullo schermo


Le musiche a commento delle immagini sono un mix di elettronica-pop-rock che contribuisce alla creazione dell'atmosfera al meglio, esattamente come dovrebbe fare ogni buona colonna sonora: sparendo nelle immagini e diventando un tutt'uno con esse.
E la già citata fotografia produce alcune delle migliori scene notturne che riesca a ricordare.

Non è un film perfetto, ha qualche piccola caduta di stile qua e là, si perde un poco per strada in alcuni frangenti, ma sono cose che passano in secondo piano.
Quando si ha la possibilità di gustare un lavoro di questo livello, poco importa la perfezione.


G.C.

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