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mercoledì 7 dicembre 2011

MIDNIGHT IN PARIS

Uno sguardo avanti, sognando sempre il passato




Io Woody Allen lo adoro.
Adoro il modo in cui scrive, il modo in cui trasmette le sue insicurezze e nevrosi e le imprime sulla pellicola.
Adoro quel modo tutto suo con cui costruisce le inquadrature, quel suo modo di gestire i dialoghi con estrema naturalezza, quel ritmo che riesce a dare ad ogni conversazione.
Adoro le stranezze nascoste dei suoi film, i piccoli dettagli che rendono grottesco un contesto all'apparenza perfettamente normale.
E adoro soprattutto la sincerità e la trasparenza con cui si racconta attraverso le sue storie.

E tutto questo, in Midnight in Paris, c'è.


Devo ammettere che partivo con qualche perplessità nei confronti di questo suo ultimo lavoro.
In primo luogo perchè nei suoi ultimi film Allen mostrava una certa stanchezza, quasi che fare film fosse per lui diventato un peso, un compitino da svolgere una volta l'anno con puntualità per portare a casa i soldi.
In più, non pensavo che l'idea di uno scrittore che "viaggia nel tempo" passeggiando per Parigi durante la notte fosse particolarmente accattivante.

Beh, mi sbagliavo.
Allen affila le sue armi migliori e si getta con foga in un progetto in cui crede molto, e che evidentemente sente molto dal punto di vista personale.
A partire dal protagonista, uno sceneggiatore ormai stufo di scrivere filmacci Hollywoodiani e che si vuole gettare nella letteratura "seria", Allen mette in campo sè stesso.

Non in prima persona. La costante degli ultimi film del regista americano è la ricerca di un alter ego a cui affidare idealmente il testimone, perchè sia il nuovo Allen nei prossimi film di Allen.
E in questo caso trova in Owen Wilson un eccellente sè stesso.


La trama da la possibilità ad Allen di spaziare con la fantasia in lungo e in largo, andando a sviluppare temi a lui cari e ad affrontare il concetto stesso di "età dell'oro", centrale in questo lavoro.

Subito veniamo messi a contatto con un classico protagonista Alleniano: paranoico, ipocondriaco, stressato, indeciso. Un personaggio che si sente fuori dal suo tempo, fuori dalla società che abita, che sente di appartenere idealmente agli anni '20, la sua età dell'oro.
Addirittura si sente fuori dalla sua stessa vita, che porta avanti quasi per inerzia, non trovando vere motivazioni nè per cambiare, nè per continuare.
Per non farsi mancare nulla, la relazione che porta avanti con una ragazza troppo diversa da lui è ulteriormente peggiorata dai genitori di lei.

La presentazione dei personaggi è puramente Alleniana. Secca, senza fronzoli, costruita tramite rapidi scambi di battute e dialoghi brevi.
Ed è molto efficacie. Immediatamente si riesce ad entrare nell'ambiente del film, l'empatia con il protagonista, Gil, è immediata.

Tuttavia in questa fase si sente una certa pesantezza di fondo, una lentezza che, pur non essendo eccessiva, si sarebbe potuta evitare con qualche taglio in sede di montaggio.

Ma il film deve ancora decollare, e lo farà.


Da quando Gil inizia a "viaggiare nel tempo" passeggiando per Parigi a mezzanotte, Allen si scatena.
Riportato alla sua età dell'oro, gli anni '20 del novecento, Gil entra in contatto con tutte le più grandi personalità artistiche del periodo, da Hemingway a Fitzgerald, passando per Picasso, Dalì e mille altri.

Allen ha così la possibilità di sviluppare un discorso sul destino e al tempo stesso sul compito dell'artista nella società, un discorso sentito profondamente dal regista, che riversa in questo film tutta la sua esperienza e la sua cultura.
Inoltre è libero di forgiare con l'immaginazione questi giganti della cultura mondiale, ricreandoli a partire dalle loro opere, dalle loro biografie, e rendendoli personaggi fortemente caratteristici e caratterizzati.
Personaggi che lungo il film si riveleranno tutt'altro che perfetti, tutt'altro che consapevoli della propria grandezza, eccessivi, improbabili, esilaranti (il Dalì interpretato da Adrien Brody farà storia con la sua apparizione di soli 5 minuti).

Inoltre Allen gestisce il tutto con mano ferma e decisa, tipica del suo cinema. Senza fronzoli porta avanti con coerenza il film, fino alla "morale" e al probabilmente troppo prevedibile finale.


Il film è estremamente raffinato e profondamente colto.
Innumerevoli come ovvio i riferimenti all'ambiente culturale degli anni '20, che necessitano di essere quanto meno conosciuti alla lontana per non trovare il film troppo "esterno" allo spettatore.
Fotograficamente non spicca per originalità, ma riesce a rendere molto bene una vita notturna pulsante nella città delle luci.

Il divertimento non manca, l'intelligenza tantomeno.
Un piccolo appunto al doppiaggio italiano, che credo danneggi pesantemente alcune interpretazioni, su tutte quella di Marion Cotillard, in un ruolo centralissimo e punto di svolta del film
Nonostante non sia decisamente il suo capolavoro (la sua età dell'oro è ormai passata) ancora una volta mi devo trovare a dire "Io Woody Allen lo adoro"


G.C.



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