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domenica 20 gennaio 2013

DJANGO UNCHAINED

La D è muta, bifolco!



Che Tarantino potesse migliorare ulteriormente se stesso e il proprio cinema dopo Bastardi senza gloria, non l'avrei mai pensato. Ed in effetti ho avuto ragione.
Tarantino non riesce a superare il suo capolavoro del 2008, ma non ne rimane troppo lontano; anche questo Django Unchained è, in modo evidente, l'opera di un genio (a modo suo, ma indubbiamente un genio).

Solo lui infatti avrebbe potuto ideare e realizzare un film del genere, e soprattutto solo lui avrebbe potuto tenere tutto insieme e farne un lavoro sostanzialmente completo e compiuto, con una sua logica narrativa e stilistica.
E solo lui avrebbe potuto pensare ad omaggiare il genere western con un film così poco western e così poco rispettoso nei confronti delle fonti di ispirazione, e pure renderlo un bellissimo e sentitissimo omaggio.
Questo film non è un western, non lo è per niente; è un "Tarantinesco", e lo è al 100%.


La cifra stilistica che permea questo film è inconfondibile, ed è anzi probabilmente ancora più esplicita rispetto ad altri film; in perfetta continuità logica e concettuale con il predecessore Bastardi senza gloria, Django Unchained porta avanti un discorso di provocatorio e irriverente revisionismo storico cui Tarantino pare abbia intenzione di dedicare una trilogia.
Come il predecessore, dunque, il film risponde ad una grande domanda: "cosa sarebbe successo se..." (what if per gli anglofoni); il resto della domanda è costituita da una frase del film: "mi chiedo perchè i neri non ci uccidano".

Nel portare avanti questo interrogativo, Tarantino mette in scena una storia di ricerca e conquista, ispirata (esplicitamente) al Sigfried, senza mettere da parte la sempre presente tensione alla vendetta (quasi sempre sanguinaria).
Lo stile è inconfondibile, praticamente tutto ciò che ci si aspetta da un film di questo regista, c'è.
La costruzione minuziosa dei personaggi, la scrittura chirurgica dei dialoghi, usati quasi sempre come vettore della suspance e della tensione, la pervasiva ironia e il grande divertimento che vuole ispirare con i suoi film.
Anche in questo lavoro si può ravvisare la classica costruzione ad elastico dei dialoghi, tirati avanti il più a lungo possibile, mentre la tensione nello spettatore sale sempre più, fino alla rottura, quando l'elastico si spezza e in scena si scatena un'esplosione di violenza al tempo stesso iper stilizzata nelle centinaia di litri di sangue che appaiono sullo schermo e iper realistica nella sua percezione.


Tarantino conosce la macchina cinematografica e la padroneggia in modo straordinario.
Le sequenze memorabili si sprecano, grazie all'occhio sempre pronto del regista ed alla bellissima fotografia del tre volte premio oscar Robert Richardson.
Ma ciò che Tarantino sa fare meglio di tutti è creare l'inaspettato, trovare l'accostamento a cui nessuno penserebbe, stupire con elementi fuori contesto, fuori logica, quasi privi di senso, e nel riuscire a creare a partire da essi un corpus unico e coerente.
Così la musica, quasi sempre assurdamente illogica (si passa dal classico accompagnamento Morriconiano al rock, al country al rap senza soluzione di continuità), gioca tuttavia un ruolo fondamentale nel creare le sequenze migliori, e contribuisce a creare scene addirittura genuinamente commoventi (su tutte il flashback sulla schiavitù di Django).

E come tutti si aspettano, le interpretazioni sono di livello altissimo.
Partendo dal protagonista Jamie Foxx, proseguendo per il sempre magnifico Christoph Waltz, sul cui personaggio Tarantino si diverte evidentemente moltissimo a giocare, quasi a sfogare tutto ciò che non avrebbe altrimenti una collocazione, tutti gli attori coinvolti sono spinti al massimo delle loro capacità, e anche oltre.
Così non sorprende un Leonardo di Caprio eccezionale nel ritrarre un personaggio viscidissimo e odiabile a dir poco, costruito perfettamente da Tarantino e perfettamente incarnato dall'attore ingiustamente snobbato agli oscar.
E su tutti spadroneggia un Samuel L. Jackson, feticcio del regista americano, che incarna il personaggio più infame e schifoso di tutto il film, ma al tempo stesso uno dei più interessanti e coinvolgenti dal punto di vista concettuale e per il messaggio di cui si fa veicolo.


Laddove il film perde il confronto rispetto al predecessore e agli altri film migliori del regista è il piano del montaggio. Tarantino ci ha sempre abituati ad un montaggio chirurgico, perfetto, senza sbavature, che colloca ogni cosa nel posto giusto al momento giusto, costruendo una narrazione perfetta nei ritmi e negli sviluppi.
Questa volta la situazione sfugge a tratti di mano (forse anche a causa del taglio di mezz'ora di film realizzati un po' all'ultimo momento), mettendo in scena passaggi affrettati e/o non opportunamente sviluppati, dando a tratti una sensazione di inconcludenza abbastanza inusuale.
Su tutto si segnala lo spezzone del Ku Klux Klan, un intermezzo comico dalla grande importanza concettuale (oltre che molto divertente) ma mal amalgamato al resto della scena, cosa che ne castra almeno parzialmente la portata.

Si percepisce inoltre un aspetto inusuale nel cinema Tarantiniano, ossia la mancanza di un personaggio femminile forte, sempre presente prima d'ora ma qui completamente assente.
Si potrebbe spiegare il fatto attraverso l'intenzione di realizzare un racconto western (genere tipicamente misogino) unito ad una grande saga leggendaria (in cui la donna è da salvare e non certo protagonista del racconto), ma è un aspetto di cui si sente la mancanza.

E purtroppo non manca qualche caduta di stile (per quanto limitata); in alcuni momenti non si sfugge al trash, volontario o involontario, che raramente si era visto nei film precedenti.
Fortunatamente questi momenti non sono molti, nè in numero nè in durata.


Nel complesso, è inoltre vero, a questo Django manca l'elemento di innovazione che i nuovi film portano alla filmografia di Tarantino, ma questo non è importante; la continuità logica, la strutturazione di una trilogia narrativo-concettuale è l'obiettivo evidente, e la novità è sacrificata a questo nuovo altare.

E poi diciamocelo, Django Unchained rimane un gran bel film, difficile rimanerne delusi, una volta capito che da nessuno si può pretendere sempre e solo capolavori.

G.C.

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