Twitter

giovedì 31 gennaio 2013

LINCOLN


La schiavitù, signori, è finita.



Lincoln è probabilmente il film a cui Spielberg ha lavorato più tempo in assoluto, fatta eccezione forse per Schindler's List. Il processo creativo si è protratto in molti anni, dalla lettura del libro da cui è tratto, allo sviluppo della giusta sceneggiatura, al casting, alle riprese, all'uscita nelle sale.
La volontà di realizzare questo film era fortissima, il regista americano sentiva con forza l'urgenza di raccontare questa storia, e questo è evidente nel risultato finale.

Potremmo definire facilmente il film come "lezione civile".
In quello che è assolutamente sbagliato definire un film sullo schiavismo, Spielberg mette in scena, in modo quasi accademico, l'iter parlamentare che portò all'approvazione del tredicesimo emendamento, con tutte le sue bassezze, i suoi intoppi, la sua "sporcizia", mostrando come anche ciò che di più alto si è raggiunto, sia il risultato di qualcosa di meno limpido.
In questo, il film è efficace nell'allargare il discorso dal ristretto ambito del congresso ad un palcoscenico più ampio fatto di etica e civiltà, in quella che appunto è una grande lezione per un pubblico senza tempo.


Proprio a causa di questa volontà didattica, il film è impostato completamente sulla parola; per la prima volta in un film di Spielberg il parlato prende il sopravvento sul mostrato, le immagini si mettono da parte, in modo da non "distrarre" lo spettatore e facilitare la concentrazione su ciò che viene detto dai singoli personaggi.
In questa operazione Spielberg si dimostra regista completo e flessibile, in grado di sacrificare le caratteristiche tipiche (o più evidenti) del suo modo di fare cinema, dotato dell'intelligenza, dell'umiltà e della maturità necessarie per piegare il proprio stile al servizio della storia, e non forzare la storia a seguire il suo stile.
Così dominano lunghe inquadrature statiche, un montaggio invisibile e sottile, una composizione quasi pittorica dell'immagine, aiutata dalla fotografia di Kaminski, qui forse al miglior lavoro della propria carriera, che riesce a replicare i dipinti dell'epoca creando l'atmosfera necessaria per la costruzione dell'opera.

E se, come detto, è la parola ciò che conta maggiormente, allora ancor più importanti saranno i veicoli di tale parola, gli attori che danno vita alla densissima (forse fin troppo) sceneggiatura politica di Tony Kushner.
Daniel Day-Lewis è impressionante nel suo diventare Abraham Lincoln, nell'aspetto, nelle posture, nell'atteggiamento fisico e vocale (qui è d'obbligo la visione originale, il doppiaggio danneggia pesantemente il film), nell'umorismo pacato e tutto personale del presidente, dimostra senza ombra di dubbio il perchè sia considerato il miglior attore vivente, e il perchè andrà probabilmente (e meritatamente) a prendersi il terzo oscar in carriera.
Anche i comprimari, Sally Field e David Strathairn su tutti, mettono in scena una bravura indubitabile e una completa comprensione ed immedesimazione nel ruolo, risultando in ogni momento non solo credibili, ma perfetti.
Ma chi veramente sorprende è Tommy Lee Jones: nei panni del deputato Stevens, mette in scena un'interpretazione assoluta, completa, impeccabile, imprevedibilmente riuscita, anche aiutato da una sceneggiatura particolarmente brillante per il suo personaggio, cogliendo una nomination all'oscar non solo meritata, ma anzi dovuta.


E' opportuno sottolineare come questo film riesca ad evitare abilmente i più grandi tranelli che lo attendevano, cioè la retorica e l'agiografia; non solo Lincoln non è mai rappresentato come il presidente perfetto, ma anzi in più occasioni si coglie l'opportunità di sottolinearne le mancanze di uomo politico, i colpi bassi e i compromessi a cui si dovette sottoporre, nonché le sue mancanze dal punto di vista umano.
Ben lungi dall'essere una semi-divinità, l'uomo Lincoln è trattato con una dura correttezza, mettendone in evidenza le mancanze (l'incapacità di relazionarsi con il figlio, la freddezza nel rapporto con la moglie...) e le qualità, l'intelligenza e la furbizia, il cinismo e la sensibilità.
Un personaggio così sfaccettato, soprattutto in un film di Spielberg (notoriamente portato al buonismo e alla glorificazione) sul più amato presidente della storia degli stati uniti, era difficile da immaginare.

La sceneggiatura è quindi uno dei punti di forza del film, insieme alle interpretazioni magnifiche e alla posata e precisa regia.
Tuttavia è un film che rischia fortemente di annoiare: l'impostazione didattica sfocia più volte nel tecnicismo quando non direttamente nel didascalico, la narrazione perde a tratti di vista la sua portata universale ed entra in discorsi troppo legati alla cultura ed alla mentalità politica e sociale degli stati uniti perchè il pubblico del resto del mondo possa esserne coinvolto; è chiaro che Spielberg abbia voluto girare un film SULL'America PER l'America, e personalmente, con la giusta impostazione mentale, l'ho molto apprezzato, ma è bene avvisare che potrebbe per molti risultare indigesto.
Inoltre va segnalato un calo di ritmo, sopportabile ma netto, nella parte centrale del film; se Spielberg avesse avuto la forza di spingere sull'acceleratore in quel frangente come fa poi nel finale, probabilmente ci si potrebbe avvicinare a definirlo il capolavoro personale del regista.


Prima di concludere è bene evidenziare due aspetti importanti dell'opera: l'accompagnamento musicale è un lavoro di sottrazione, quasi minimalista, assolutamente antispettacolare ed interessantissimo nel suo coraggio; laddove si sarebbe potuto infondere alle scene una carica emotiva di grande intensità, Spielberg e Williams decidono di tenere bassi i toni, di limitarsi, servire ancora una volta la sceneggiatura ed il racconto, risultando in un lavoro quasi impercettibile ma molto elegante.
E la scelta ancor più coraggiosa del modo in cui mettere in scena la morte del presidente, per quanto non perfettamente legata al resto dell'opera, evitando qualsiasi espediente retorico o qualunque forzatura drammatica, è encomiabile e da una precisa misura della maturità stilistica messa in mostra da Spielberg nel realizzare questo, sentitissimo, lavoro.

Lincoln è un film inusuale nella filmografia di Spielberg, e consiglio di andarlo a vedere a mente sgombra, senza aspettarsi i tipici stilemi e la tipica costruzione narrativa del regista, perchè quasi completamente assenti.
Ma, forse proprio per questo, abbiamo davanti il più riuscito film dell'autore Spielberg dopo Schindler's List, e questo non è altro che un bene.

G.C.

Lincoln su IMDB

1 commento:

  1. Io amo il cinema, soprattutto quello vero, in sala. La gente che mormora, i trailer che fanno salire l'attesa del film, le luci che calano, il grande schermo. Intenso ed emozionante. Perché questo è il cinema, emozione, un'avventura che ti porta in un altro mondo e ti cattura, dall'inizio alla fine.
    E Spielberg è un maestro in questo, non c'è bisogno di ribadirlo; ma in questo film è diverso. Non c'è la magia, non c'è l'emozione, c'è solo il racconto molto ben fatto di un importante evento. Un documentario insomma. Interessante, ma dal cinema, da Spielberg in particolare, mi aspetto, anzi pretendo, di più.

    RispondiElimina